Se durante i mesi estivi hai approfittato delle giornate di sole per stare all’aria aperta, è probabile che le tue scorte di vitamina D siano a punto.
Non per questo però devi sentirti in una botte di ferro perché, d’inverno, ben il 50% degli italiani, soprattutto over 60, va a corto di questo ormone strategico per la salute dello scheletro: a denunciarlo è un gruppo d’esperti dell’Associazione medici endocrinologi che ha recentemente stilato una serie di consigli da seguire per non farsela mancare, definendo anche quali sono i valori soglia che funzionano da campanello d’allarme di un suo deficit, e quando è utile ricorrere all’aiuto di un integratore.
«L’80% della vitamina D di cui abbiamo bisogno viene prodotta in forma inattiva come calciferolo, che viene poi convertita nella sua forma biologicamente attiva da fegato e reni, quando esponiamo la pelle al sole: ecco perché, dopo l’estate, di solito l’organismo ne ha stoccato una dose ottimale e i suoi livelli salgono», spiega il professor Andrea Giustina, docente di endocrinologia all’Università Vita Salute S. Raffaele di Milano e presidente della Società europea di endocrinologia.
«La riserva non è però eterna e, per mantenerla stabile, la prima regola è quella di prendere il sole anche in autunno e in inverno. Per riuscirci non c’è bisogno di fare full immersion: basta una passeggiata di 20-30 minuti al giorno, meglio se tra le 11 e le 15 (quando l’irraggiamento è maggiore), tenendo il viso (e quando le temperature lo permettono anche le braccia e le gambe) scoperti, in modo che siano colpiti dai preziosi ultravioletti.
La seconda regola per evitare carenze è sapere che circa il 20% della vitamina D proviene dai cibi, e che è quindi importante mettere in tavola quelli che la forniscono, sapendo che il fabbisogno quotidiano è pari a 800 unità internazionali (UI), quota che aumenta a 1000 se si è over 50.
«Allora, ok a un paio d’uova (ognuna ne garantisce 87), ad almeno due porzioni di formaggio (circa 20 UI l’una) e a due di pesce alla settimana, scegliendo però quelli più grassi perché sono più ricchi di vitamina D: salmone fresco (se pescato, ne contiene sino a circa 1000 UI ogni 100 g) o affumicato (685 UI), sardine e alici (275 UI), sgombri (1000 UI), trote (759 UI) e anguille (932 UI)», suggerisce Giustina.
Chi rischia di andare in carenza Anche se il sole e i giusti alimenti sono i segreti per non andare a corto di vitamina D, la sua carenza è ugualmente in agguato. «A maggior rischio di deficit chi è obeso: la vitamina D è liposolubile e tende ad accumularsi nel grasso. La quota che circola nel sangue e che l’organismo può assorbire diventa perciò insufficiente», spiega il professor Giustina.
«A rischio anche chi soffre di malattie come il morbo di Crohn o la celiachia, che mandano in tilt un corretto assorbimento dei nutrienti da parte dell’intestino, e chi è avanti negli anni: la pelle degli over 60 ha una minor capacità di produrre la vitamina D»…
Fonte: “Vitamina D: come non farsela mai mancare!” è una sintesi di un bell’articolo di Ida Macchi su Starbene ottobre 2019, con la consulenza del Prof. Andrea Giustina, endocrinologo Università Vita Salute HSR Milano
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