Sale e rischio cardiovascolare?
Esistono evidenze sufficienti per raccomandare una drastica riduzione dei consumi?
La relazione tra il consumo di sale e il rischio di eventi cardiovascolari è oggetto, da alcuni anni, di una riconsiderazione che potremmo definire strutturale.
Cresce il numero degli esperti che ritiene che le più recenti evidenze fornite dall’epidemiologia osservazionale non sostengano più la raccomandazione a ridurre in modo drastico il consumo alimentare di sodio (e quindi di sale), con obiettivi di prevenzione cardiovascolare, tuttora presente nella maggior parte delle Linee Guida internazionali sull’argomento.
Il dibattito su questi temi è peraltro tuttora molto aperto, come emerge anche da un recentissimo articolo uscito sul BMJ, con la prima firma di Nancy Cook, che ha cercato, con risultati assai deludenti, di trovare una composizione tra le posizioni scientifiche che si confrontano su questo tema.
- Il documento qui considerato, recentemente pubblicato sull’European Heart Journal e sottoscritto da un gruppo molto consistente di esperti che comprende anche un prestigioso ricercatore italiano, Giuseppe Mancia, sostiene in modo deciso che non esistono dati sufficienti per proporre alla popolazione di ridurre l’apporto quotidiano di sodio quando questo non ecceda i 5 g (che equivalgono, come è noto, a circa 12,5 g di sale).
Gli autori suggeriscono infatti che gli effetti complessivi di salute della restrizione sodica al di sotto di questo limite non sono chiari: si osserva in genere una riduzione dei valori pressori (che peraltro è significativa soltanto nei soggetti ipertesi, ma non nella popolazione con normali valori della pressione arteriosa stessa), ma non si ridurrebbe invece il rischio di eventi cardiovascolari, che secondo alcuni studi sembrerebbe addirittura aumentare.
Tra le possibili spiegazioni di questo inatteso aumento del rischio si può ricordare l’incremento, riflesso alla restrizione del sodio alimentare, dell’attività reninica, che attiva una via fisiologica di risparmio del sodio (la cosiddetta via renina-angiotensina-aldosterone) caratterizzata da un ruolo complessivamente non favorevole nell’evoluzione delle malattie cardiovascolari, come conferma l’ampio utilizzo degli ACE-inibitori e degli ARB (che bloccano selettivamente questa via) nella prevenzione di questa patologie.
Accettando la tesi di O’ Donnell e coll., la popolazione italiana, caratterizzata da consumi medi di sale di 9-10 g/die, rientrerebbe tra quelle che non richiedono un’ulteriore restrizione dell’apporto del sale stesso:
- in evidente conflitto con quanto suggeriscono invece le recenti linee guida elaborate dal CREA-NUT, che ribadiscono invece la raccomandazione a ridurre l’apporto di sodio a meno di 2 g/die (e di 1,5 g/die per i soggetti di età oltre i 65 anni) equivalenti ad apporti di sale, rispettivamente di 5,0 e 3,5 g al giorno.
Queste nuove indicazioni potrebbero pertanto avere un impatto significativo sul modello alimentare da proporre alla popolazione, anche nel nostro Paese. Lo sviluppo delle conoscenze sull’argomento va quindi seguito con attenzione, e per quanto possibile in modo privo di pregiudizi; nuovi elementi da considerare (tra cui i risultati di alcuni studi randomizzati di intervento in corso) emergeranno infatti a breve.
Una ricerca di O’Donnell M, Mente A, Alderman MH, Brady AJB, Diaz R, Gupta R, Lòpez-Jaramillo P, PLuft FC, Lu ¨scher TF, Mancia G, Mann JFE, McCarron D, McKee M, Messerli FH, Moore LL Narula J, Oparil S, Packer M, Prabhakaran D, Schutte A, SliwaK, Staessen JA, Yancy C, Yusuf S.
Eur Heart J. 2020
Fonte: “Sale e rischio cardiovascolare? Una nuova ricerca su Nutrition Foundation” è un articolo tratto da Nutrition Foundation of Italy, a questo link trovi l’articolo originale anche in lingua inglese.
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