Osteoblasti e osteoclasti: sono queste le cellule il il cui squilibrio porta all’osteoporosi.
Normalmente, l’impalcatura dell’osso, e il suo costante rinnovamento, sono infatti controllati da un meccanismo estremamente sofisticato, basato sull’attività dei due tipi di cellule.
Gli osteoblasti possono essere considerati come “costruttori” di osso.
Ma a compensare la loro attività ci sono gli osteoclasti, ovvero unità operative che anno invece il compito di eliminare le parti più vecchie, in modo che possano essere sostituite.
Il meccanismo è controllato dagli estrogeni, e dunque funziona perfettamente finché la loro produzione è sufficiente.
Con la menopausa, però, si verifica un deficit ormonale, e l’azione degli osteoclasti si fa sempre più incisiva, mentre gli osteoblasti non sono più in grado di sostituire il tessuto osseo perduto.
Risultato: l’osso diventa progressivamente sempre più debole e si rompe con maggiore facilità.
Il fenomeno, che interessa soprattutto le ossa lunghe (come il femore) e le vertebre, conduce nel tempo a un impoverimento del patrimonio osseo.
Le ossa diventano quindi estremamente fragili, porose, bucherellate perché il calcio viene a mancare, anche se il loro aspetto esterno può sembrare del tutto normale.
E quindi, la persona può andare incontro a fratture anche dopo traumi di entità poco rilevante.
Basti pensare che 9 fratture del femore su dieci (una lesione tipica delle popolazione femminile) si verifica dopo cadute senza conseguenze nelle donne più giovani.
Tratto da un articolo molto più ampio di Arrigo Ribolla
Fonte: Benefit, novembre 2003
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