La pasta al pomodoro raffreddata e poi riscaldata ha un indice glicemico più basso rispetto alla pasta appena cotta, o cotta e poi raffreddata.
Riscaldare la pasta (e presumibilmente di riso, patate e altri alimenti ricchi in amido) dopo averla raffreddata in frigorifero, ne riduce l’indice glicemico (o IG; cioè la variazione dei livelli di glucosio nel sangue dopo il consumo di quell’alimento) e quindi la risposta sia glicemica e sia insulinemica postprandiale, limitando così le oscillazioni della glicemia che si ripercuoterebbero negativamente sul benessere dell’individuo, con un aumento del rischio di obesità, diabete di tipo 2 e di infiammazione generalizzata.
Questi i risultati di uno studio pilota che ha valutato l’effetto del consumo di pasta sul profilo glicemico di un piccolo numero di volontari sani (5 maschi e 5 femmine) di età compresa tra i 19 e i 36 anni, ai quali è stato chiesto di consumare in tre diverse giornate un piatto da 100 g di pasta di semola di grano duro condita con passata di pomodoro e olio d’oliva in tre versioni differenti: appena cotta, scolata e condita, oppure preparata e poi raffreddata in frigorifero a 4°C, o ancora refrigerata e poi successivamente riscaldata.
La glicemia postprandiale è risultata significativamente ridotta dopo il consumo di pasta fredda in confronto all’assunzione della stessa porzione di pasta appena cotta.
L’area sottesa alla curva glicemica (costruita misurando la glicemia ogni 15 minuti per due ore), tuttavia, si è ulteriormente ridotta (circa del 50%), dopo il consumo del piatto di pasta cotta, raffreddata e nuovamente riscaldata.
La ricerca ha quindi confermato come la refrigerazione della pasta dopo la cottura comporti una riduzione della velocità con la quale si innalzano i livelli di glucosio nel sangue dopo il consumo dell’alimento: un fenomeno noto e ben documentato in letteratura che prende il nome di retrogradazione dell’amido, che implica la trasformazione di parte dell’amido digeribile in amido resistente, più difficilmente attaccabile dagli enzimi digestivi e assorbito quindi più lentamente.
Gli Autori ipotizzano tra l’altro che anche il contatto con i lipidi dell’olio d’oliva possa contribuire a ridurre la digeribilità dell’amido.
Seppur in maniera non conclusiva e con alcuni limiti, primo fra tutti il ristretto numero di partecipanti, i risultati di questo studio dimostrano come alcune pratiche culinarie, facilmente riproducibili, possano modificare la struttura di alimenti di uso comune, con un impatto positivo sulla salute delle persone.
Una ricerca di Robertson TM, Brown JE, Fielding BA, Robertson MD. Eur J Clin Nutr. 2020 Sep 2.
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