Se potessimo chiedere al nostro gatto: «Sei felice?», potrebbe capitare di sentirci rispondere: «No, sono depresso».
- «Purtroppo», spiega l’etologo Roberto Marchesini, direttore di Siua – Scuola di interazione uomo-animale, «nel vivere con noi il gatto, magnifico equilibrista, coraggioso esploratore e mirabile atleta, è spesso relegato al ruolo di una sorta di Tamagotchi in 3D, che deve limitarsi a dormire, mangiare e lasciarsi accudire».
Se un gatto dorme durante quelle che solitamente sono le sue ore di attività, se smette di mangiare o, al contrario, mangia più del solito, se è apatico e se ‘parla’ di più, c’è qualcosa che non va. Una volta scongiurata ogni patologia organica, la diagnosi può essere depressione.
- «Se è vero che sintomi depressivi sono stati osservati in gatti che subiscono un trauma affettivo (abbandono, perdita), o un cambiamento traumatico di abitudini (trasloco, permanenza temporanea in una struttura non familiare)», prosegue lo specialista, «tuttavia si riscontra un numero maggiore di casi in cui la depressione è data dalla estrema povertà di stimoli dell’ambiente in cui il gatto è costretto a vivere».
Per sottrarre il micio a questo stato, non lasciamolo da solo per troppe ore e, se costretto alla vita tra quattro mura, attrezziamo l’ambiente in modo consono:
- regagliamogli qualche mensola su cui balzare e palestrine su cui possa arrampicarsi;
- appendiamo piccoli giocattoli su cui possa sperimentare le sue strategie di attese e agguati.
Se la depressione perdura, rivolgiamoci a esperti di etologia.
Articolo di Marco Ronchetto – fonte OK Salute e Benessere, febbraio 2017
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