Ne soffrivano già i dinosauri 125 milioni di anni fa, tanto che tracce sono state rinvenute sul fossile di un Microraptor. Sulla razza umana preferisce il genere maschile e si fa viva soprattutto ad aprile e a ottobre.
Esteticamente fastidiosa, in alcuni genera un vero e proprio disagio. Perché, siamo sinceri, a chi piacerebbe vedere la propria giacca ricoperta di scaglie bianche provenienti dal cuoio capelluto? Insomma, di forfora?
A nessuno, «eppure sono molti gli italiani che soffrono di questo disturbo», spiega Sandra Lorenzi, dermatologa dell’Istituto dermoclinico Vita Cutis di Milano. «Per di più non esiste una cura definitiva: si può tenere sotto controllo ma non debellare del tutto».
La desquamazione del cuoio capelluto, che dà origine a scaglie bianche e perlate che si staccano dalla cute, «è associata in linea generale», prosegue la dermatologa, «a una carenza di ceramidi, i grassi che fungono da barriera protettiva. Ma, attenzione, non tutta la forfora è uguale: esistono quella grassa e quella secca. Una distinzione visibile a occhio nudo, anche se, per avere una diagnosi precisa, è necessario rivolgersi a uno specialista, che controllerà lo stato dei vasi sanguigni “ingrandendo” il cuoio capelluto fino a 700 volte tramite il videodermatoscopio».
La forfora secca si presenta con squame piccole e biancastre che si depositano su tutta la capigliatura, fino a cadere sugli abiti, generando quell’antiestetica «cascata a neve». Il cuoio capelluto appare disidratato, ma non infiammato e il processo di desquamazione avviene in maniera veloce e continua, senza alcun tipo di irritazione cutanea, sebbene possa essere accompagnato da un prurito fastidioso. Nei periodi particolarmente caldi o freddi, tende inoltre ad aumentare.
Fonte: estratto da un bel servizio di Cinzia Galleri su Ok Salute e Benessere, aprile 2019
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