Il cotone raccolto, prima dell’invio al cotonificio, è sottoposto a sgranatura, pressatura e imballaggio; tali operazioni si compiono in stabilimenti agricoli industriali, detti ginniere.
La sgranatura (o ginnatura) separa la fibra dal seme ed elimina le impurità di vario genere che possono essersi mischiate alle fibre. La pressatura ha lo scopo di ridurre sensibilmente il volume per facilitarne il trasporto e si effettua con presse idrauliche. Il cotone compresso (sodo) è avvolto in teli di iuta.
Le lavorazioni successive prevedono diverse e complesse operazioni di filatura, di pettinatura e di stiratura.
Il cotone non viene però soltanto impiegato nella produzione tessile, ma di questa pianta si possono sfruttare quasi tutte le parti: dai semi si estrae un olio impiegato per usi alimentari e nell’industria dei saponi; la resa in olio varia dal 15 al 24% nei semi non decorticati.
Il panello di cotone viene impiegato nell’alimentazione zootecnica.
Gli involucri dei semi, le capsule e parte degli steli (borre o linters) che residuano dalla lavorazione delle capsule vengono impiegati nella fabbricazione delle nitrocellulose per vernici o esplosivi.
Con i linters si possono produrre i cotoni idrofili, ovatte e imbottiture. Le bucce dei semi che residuano dalla decorticazione vengono impiegate per produrre cellulosa, pentosani, lignine, alimenti zootecnici e come concime organico.
Fonte: tratto da un articolo di Fabrizia Garavaglia su Bio, settembre 2015