Quando, per diverse ragioni, i grossi condotti arteriosi perdono di tono e tendono a sfiancarsi, si verifica un rallentamento del flusso del sangue.
- I piccoli condotti sanguigni (i capillari) sono chiamati così a uno sforzo maggiore per nutrire il pannicolo adiposo, composto dagli adipociti, cioè dalle cellule di grasso.
√ Questo sovraccarico di lavoro si traduce in una dilatazione delle pareti e successivamente in una maggiore permeabilità: in pratica, i capillari lasciano fuoriuscire la parte liquida del sangue, il cosiddetto “plasma“.
√ Questo liquido si va a incuneare tra un adipocita e l’altro, in una posizione del tutto innaturale. Le cellule così cominciano a distanziarsi l’una dall’altra: il loro lavoro e l’interscambio di sostanze diminuiscono sensibilmente.
√ Con l’andare del tempo la situazione si sclerotizza e peggiora: i capillari diventano sempre più permeabili, il ristagno di liquido sempre più importante (edema), la distanza tra le cellule sempre più accentuata. Gli adipociti però non restano inermi a osservare questo fenomeno, ma al contrario danno il via a una importante mutazione.
√ Le cellule di grasso sono ricoperte naturalmente da alcuni filamenti di collagene e sono proprio queste cosiddette “fibrille” che mutano nel processo di formazione della cellulite. Forse perché tentano di difendere la loro situazione (per cercare cioè di tenere unite le cellule), forse perché “impazziscono”, le fibrille aumentano di volume e di numero e tentano di unire in una sottile rete diversi adipociti.
√ Si formano così i cosiddetti noduli cellulitici, ammassi di cellule di grasso, tenute insieme da una gabbia di collagene, completamente scollegata dalle altre cellule. I noduli hanno dapprima piccole dimensioni, ma con l’andare del tempo, se non si pone un rimedio, acquistano la forma di un chicco di riso e successivamente diventano grossi tanto quanto un cece.
Fonte: “Cellulite – Le Cure dolci e le diete su Misura” – allegato a Viversani e Belli, n°3/1997